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Quando il vibratore scompiglia l’ordine patriarcale

The Love Word. Alba Rossa 1993

The Love WordAutonarrazioni a confronto (1993-2013) | il saggio di Gaia Giuliani e Chiara Martucci, The L(ove) word. Autonarrazioni a confronto (1993-2013), in G. Giuliani, C. Martucci, M. Galetto, L’amore ai tempi dello tsunami, Ombre Corte, Verona, 2014 (maggio).

L’intro la trovate qui

1993 – Alba rossa

GG: Il periodo che si apre con il 1993 è quello dell’affaccio entusiasta al mondo. A quel tempo, non solo cresceva in me una consapevolezza più forte del mio corpo, dei miei desideri, o meglio, della confusa direzionalità dei miei desideri, ma soprattutto era l’aspettativa crescente verso il mondo dei grandi, quello degli universitari che infestavano Bologna, a sciogliere i nodi dell’adolescenza e a proiettarli verso una serie di posizionalità che mi avrebbero accompagnata per i successivi vent’anni. Questi elementi funsero da “prima tappa” di un percorso che non avrei immaginato mi avrebbe costruita nel modo in cui sono oggi.

Quello del 1993 fu l’inverno di Sarajevo, della guerra nei Balcani e dell’intervento ONU in quella che veniva definita una polveriera etnica. Le mobilitazioni studentesche nelle scuole e nelle università non interpellavano questioni di genere che non fossero legate a quella dei cosiddetti ‘stupri etnici’, eppure mi rendevo conto, per la prima volta che non era tanto il mio corpo a dettare il mio punto di vista, quanto la mia identificazione di genere ad avvicinarmi a particolari posizionamenti e sguardi critici. Ero profondamente immersa, per quanto non fedelmente aderente, ad un ambiente libertario che prima di tutto sembrava darmi strumenti d’interpretazione adeguati alle questioni legate all’”autorità” e all’”autoritarismo” nei loro effetti sia materiali sia di egemonia simbolica e culturale in alcuni apparati istituzionali e sociali – come la Chiesa. Erano gli anni in cui, nel Parlamento e nelle formazioni istituzionali classiche, avvenivano profondi ed indelebili cambiamenti, e nel movimento si facevano strada approcci teorici molto significativi per la mia formazione di genere e di classe: i temi à la page nei collettivi e nella produzione teorica postoperaista erano postfordismo, autoimpresa e capitalismo cognitivo, su cui si sarebbero fondate molte delle riflessioni successive su lavoro immateriale, precarietà e lavoro. Allo stesso tempo, ci si cominciava ad interrogare sul rapporto tra costruzioni di genere e tecnologia, e sul portato del cosiddetto cyberfemminismo (soprattutto quello di Donna Haraway, Susan Hawthorne e Renate Klein, ma anche, in senso critico, di Jassie Daniels) in quelli che poi verranno chiamati i femminismi della “terza onda”. Le grandi trasformazioni che che mi avrebbero investita soprattutto a partire dal 2000 si stavano profilando all’orizzonte e mi coinvolgevano all’interno di una serie di formazioni politiche che, fondando sul poststrutturalismo e sulle influenze dell’attivismo nordamericano e messicano, la propria produzione teorica e le proprie pratiche, facevano dei concetti di “rete” e di “affinità”, di critica al neoliberismo e al neocolonialismo americano ed europeo, i propri pilastri imprescindibili. Più tardi, dal 1997 al 2000, questa piccola rivoluzione avrebbe portato alla nascita delle pratiche politiche dei movimenti confluiti nelle proteste cosiddette no-global di Seattle, negli Stati Uniti, di Praga, di Bologna e Napoli, ed infine, di Genova, nel 2001.

Questo decennio coincide in questa piccola narrazione di me stessa e delle mie pratiche affettive ed identificative, a quello della solida consapevolezza anticlericale, dell’esperienza della crescita collettiva dal punto di vista intellettuale e emotivo, della messa in gioco di pezzi della mia biografia all’interno di contesti caratterizzati dal continuo confronto e messa in discussione. È il periodo della sperimentazione sessuale, in una prospettiva identificativa mai tacitamente data per scontata, sempre costruita sull’asse di un insieme di desideri polidirezionali e dell’assenza (quasi?) totale di remore morali. A partire dalla metà degli anni novanta, le relazioni eterosessuali stabili, che considero oggi fondative e di cui ho un ricordo bellissimo, non impedirono sperimentazioni queer che, per quanto meno radicate e formative, ritengo e ho sempre ritenuto eccezionalmente significative nella formazione della mia identità sessuale e di genere. Ciò che più caratterizza quegli anni non cessa di essere nei miei ricordi, un’euforia straordinaria e una grande voglia identificativa, la ricerca di un’appartenenza che non escludeva però l’ambivalenza intellettuale e identitaria. Tale ricerca si giocava nelle formazioni politiche da me attraversate – della sinistra radicale e femministe – che non di meno mi ponevano una serie di interrogativi importanti per quanto riguarda le mie molteplici posizionalità e alcune questioni, come quella controversa della “sorellanza” e della “fratellanza” e quella, da me presto respinta, della “linea politica” e della “militanza” che ancora oggi informano sia il mio lavoro intellettuale sia la mia biografia.

CM: Milano 1993. Ho vent’anni e il nuovo millennio è alle porte. Finito il fastidioso liceo, finalmente faccio parte del magnifico mondo degli universitari! Si va in Festa del Perdono verso mezza mattinata, si gioca a scopone scientifico al bar per qualche ora e poi si leggiucchia un libro nei chiostri, fumandosi una canna. La sera babysitteraggio dai vicini per tirar su qualche spiccio da spendere, e tutto intorno loro: il gruppo dei pari, come ho imparato a dire dopo l’esame di Psicologia dinamica. 

Che cosa devo fare oggi? Non lo so, proprio non me lo ricordo. Un senso di pesantezza, noia ed impotenza mi rende così indolente, inconcludente, insoddisfatta, insicura. Boh? Sarà questa pioggia infame o la congiuntura di un qualche pianeta avverso, ma così non posso più andare avanti. E vabbè che c’è l’adolescenza lunga, la crisi dei valori, la recessione…

Ma chi ti credi di essere? Cosa credi di poter fare? Il mio super-io incalza, e io non so proprio cosa rispondere. E allora cedo, come sempre. Alla pigrizia, alla noia e alla voglia di non fare niente, di perdermi nella tranquilla angoscia del quotidiano[1].

Ho vent’anni e mi muovo in branco: cene, pranzi, serate, manifestazioni, concerti, vacanze tutt* insieme. Ci sono i ragazzi e ci sono le ragazze. Ogni tanto si accoppiano tra di loro. Io no. Classico stereotipo della figlia di ex-sessantottini, naturalmente faccio politica nell’area “antagonista”. Centri sociali e manifestazioni sono il mio habitat naturale. La tradizione culturale della sinistra italiana mi pervade, senza che io capisca bene come e perché. Protestare! Polemizzare! Partecipare! Imperativi categorici introiettati con il latte materno.

Insaccata in pantaloni a zampa, brufolosa e sovrappeso, mi presento al mondo come la più intelligente attivista mondiale e l’amica più generosa e leale che si possa immaginare. Il mio corpo non mi riguarda.

Sono simpatica, pare, e la compagnia non mi manca mai. Ma l’amore sì. E anche il sesso. Non che sia vergine: ho regalato accidentalmente la mia virtù, già cinque anni fa, ad un bagnino genovese di dieci anni più grande. È piuttosto importante per noi figlie di sessantottini essere libere sessualmente e scopare prima dei quindici anni. Superato questo esame di base, però, solo innamoramenti platonici, sin dai tempi dell’asilo: grandi amori romantici, per lo più segreti; mai dichiarati e mai ricambiati.

Del mio futuro lavorativo mi interesso assai poco. Figlia dei babyboomers, sono certa che ci saranno un lavoro, una carriera e una pensione ad aspettarmi. So solo che di fare l’insegnante, come mia madre, non se ne parla nemmeno e che non voglio un lavoro “9 to 5”. Sono creativa, capace di lavorare in gruppo e tra pochi anni laureata: il nuovo millennio è alle porte, e il futuro è mio!

[1] Brano tratto da un mio Autoritratto dell’epoca (1992-1993).

segue….(la prossima puntata la pubblichiamo il 14 marzo…troppo in là?)

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