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Quando il vibratore scompiglia l’ordine patriarcale

Sex and the City/Sex şi oraş

Come le inguaribili romantiche nella fase dell’innamoramento vedono solo campi di mughetto intorno a loro e idealizzano le virtù dell’amata o dell’amato, così facevamo noi.  Guardavamo ad Arad e alla Romania con gli occhi dell’ammmore.

Un grande appartamento, una grande associazione, tre giovani amazzoni in età fertile piene di idee alla conquista di una città tutta da scoprire, costellata da invitanti negozietti second hand dal sapore retrò.

Una piccola comunità G in nostro supporto, un’agenda piena di contatti e di appuntamenti, un viaggio a Bucarest ed uno a Budapest perfettamente pianificati per celebrare la nostra comunità LGBTQI.

Le prime afose serate d’estate trascorse nel nostro salotto a parlare di sesso, politica, progetti futuri, speranze, consumando cibo a km 0 acquistato nel piccolo mercato sotto casa e sorseggiando acqua minerale rigorosamente “plata” per drenare e asciugare i nostri corpi bruni, già baciati dal sole grazie all’esposizione settimanale presso la piscina locale.

Il nostro dinamismo, la nostra intraprendenza, le nostre gonnelle sbarazzine…tutto lasciava preludere ad una possibile replica di “Sex and the city” modulata sul contesto locale. “Sex si oras” insomma.

Preludio che ahìme, capimmo ben presto quanto in realtà fosse difficile far scattare al livello successivo. Ovvero, come direbbe Margherita, quello del “far quagliare le cose”.

Ma analizziamo un attimo il quadro, quali sono stati gli elementi che hanno impedito al nostro potenziale di dispiegarsi pienamente?

1. L’USURA (aka “Hygiene, sometimes”)

Quando c’è stato consegnato l’ appartamento al settimo piano del block o meglio, dello skyline nr.22 di Calea Aurel Vlaicu, abbiamo avuto un sussulto di gioia nel constatare le ampie dimensioni di quella che sarebbe diventata la nostra dimora. Un ampio ingresso, un ampio salotto, due camere per un totale di 5 posti letto, due bagni, un piccolo ripostiglio, una cucina attrezzata, tre balconi…e ancora: una lavatrice, un computer fisso, uno stendino, un divano letto…

Ma cosa si nascondeva dietro a cotanto agio, a cotanta perfezione? Ebbene sì: l’usura, tema già introdotto da Bianca nel precedente articolo. Come quando da bambina entri nella casetta dei personaggi Disney ai baracconi e ti rendi conto che non puoi toccare un cazzo perché il tutto è un enorme cartonato dall’equilibrio molto precario, così ben presto dovemmo destreggiarci ad esercitare politiche di riduzione del danno nel nostro obsolescente appartamento.

E iniziò la stenuante e costante battaglia all’acaro, ai vari kibbutz di scarafaggi, alle perdite d’ acqua nel bagno.

Altro che “Sex and the city”. Da un mese e mezzo a questa parte non ci resta altro da fare se non prendere atto quotidianamente dei nostri livelli di sgrausezza e di cercare di contenerli. Le nostre aspettative si sono radicalmente abbassate rispetto al nostro arrivo. Se prima auspicavamo una connessione internet più veloce, ora chiediamo solo di poterci sentire pulite. Almeno ogni tanto.

2. CALL ME, MAYBE

Come canta Carly Rae Jepsen : “Hey, I just met you and this is crazy, but here’s my number… so call me maybe?”.

Questa era un po’ l’attitudine che caratterizzava I nostri primi momenti di networking. Stupore per gli incontri più o meno casuali avvenuti, chiacchierate erudite, esposizione di progettualità, entusiasmo, scambio di contatti.

Il tutto condito da nostri commenti a margine del tipo: “Che meraviglia fare attivismo in Romania, sono tutt* così disponibili! Rispondono alle mail…non come in Italia!”.  Ingenue.

Abbiamo avuto molti momenti di socialità istituzionali e non. Abbiamo sorseggiato caffè, fatto video interviste. Tuttavia dare un seguito a questi incontri non è sempre stato facile.

Le nostre prassi lavorative si sono spesso scontrate coi lunghi tempi locali e le tendenze alla procrastinazione che hanno rallentato non poco la realizzazione di alcuni nostri progetti. La Romania è pur sempre un paese latino. Diverse volte abbiamo temuto di non poter tradurre nel concreto le nostre idee per colpa di inerzie imposte da altr* e ci siamo sentite un po’ frustrated.

Per esempio è stato necessario un mese e mezzo di scambio di mail, lobbysmo su più fronti e persino un viaggio a Bucarest per avere una collaborazione concreta con Aras Arad, associazione che si occupa della salute sessuale di donne marginalizzate quali sex-workers e zingare.

Finalmente lo scorso  mercoledì siamo andate “in the field” insieme a Ligia per proporre ad alcune prostitute di testare il Femidom, il condom femminile. Al mattino abbiamo provato questo strumento at home, con relativa ripresa video, abbiamo poi preparato una raccolta di guidelines sul suo inserimento e utilizzo e la sera abbiamo proposto un piccolo workshop itinerante.

Margherita mostrava alle ragazze come inserirlo, io e Bianca davamo un supporto teorico e le operatrici di Aras facevano da traduttrici.

Cinque sex-workers hanno accettato di provarlo col proprio compagno o con clienti di fiducia. Abbiamo raccolto i loro codici e questa settimana torneremo sul campo per avere un feedback.

Dopo lunga et penosa malattia anche questo progetto è andato in porto.

3. CLASH OF CIVILIZATIONS

Io ho sempre appoggiato (sentendomi un po’ colpevole) la teoria di Samuel Huntigton il quale sostiene che lo “scontro di civiltà” rappresenti la nuova generazione di conflitti nello scenario post-Guerra Fredda.

Non è un approccio politicamente corretto, ma ha una sua veridicità. Ne ho avuto prova durante il nostro On arrival training a Predeal, una settimana di formazione sugli aspetti più o meno burocratici, progettuali, sociali che caratterizzano il Servizio Volontario Europeo.

“Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro” dice Samuel. Sicuramente a Predeal una di queste faglie si è palesata.

Per una settimana abbiamo vissuto recluse in un resort di montagna magnificamente mischiate a ragazz* provenienti da ogni parte d’Europa e oltre…dal Portogallo, alla Germania passando per la Lettonia, la Turchia e l’Armenia. L’elenco non è esaustivo.

C’era da aspettarselo che una volta espressi i temi e gli obiettivi del nostro progetto SVE (principalmente focalizzato sulla salute sessuale e sulla diffusione del Verbo LGBTQI) davanti a questa eterogenea platea, avremmo dato adito a manifestazioni di interesse, diciamo, DIFFORMI e aizzato grandi dibattiti e questioni.

Così che, per esempio, una ragazza armena anti-abortista e convinta che “men should paid my drink and carry my luggages”, si avvicinò un giorno a Margherita chiedendole con accento californiano e tono da chi vuole saperne dippiù: “Is it true that italian guurlz are sooo easy?!”.

Il nostro attivismo ha poi dato adito ad altre osservazioni del tipo: “Italian girls are sexy and warm” e ancora “Italy is full of homosexuals”. Si, andiamo a quote nazionali, come per i fondi della Politica Agricola Europea.

E tutto ciò, invece di essere riconosciuto dai trainers come manifestazione di sessismo e omofobia, veniva accomodato pacificamente sotto l’etichetta di “differenze culturali”. Si, va bhè, però, parliamone.

Così che a tratti ci sembrava di riprodurre il quadretto “The only gay in the village” della serie inglese Little Britain sulle note di “Go west!” dei Pet Shop Boys.

4. NU INTELEG (“non capisco”)

Dopo la prima settimana di indagine del contesto LGBTQI rumeno e dopo essere state depauperate del nostro diritto all’autodeterminazione, apostrofate “lesbiche!” da un controllore perché chiedevamo con insistenza una ricevuta, il senso della nostra missione in loco si è manifestato chiaramente alle nostre menti erudite e spugnose.

Rainbow Chicken Invaders

First of all, we are here and we are queer. Second, all of you should know that it’s ok to be gay. And LBTQI.

Ma, come implementare il nostro attivismo forestiero nel contesto locale?

Abbiamo scoperto ben presto che non sarebbe stata impresa facile e che il nostro approccio non sempre sarebbe stato capito dalla comunità arcobaleno locale. Viceversa, la non completa conoscenza del contesto rumeno non ci avrebbe permesso di capire, di empatizzare con la stessa sometimes.

Nello specifico lamentiamo la scarsa coscienza politica di una parte di esso, la sua tendenza marginalizzante e normalizzante rispetto alla norma eterosessuale, il senso di colpevolezza a tratti e la sua non volontà di mettersi in gioco pubblicamente e di prendersi il proprio spazio.

Cosicché abbiamo dovuto mettere i nostri baffi, boa, glitter, falli artificiali, lipstick in un bauletto (TEMPORANEAMENTE) e rassegnarci al fatto che ad Arad una serata al Karaoke sia più appealing e bramata del nostro Cineforum LGBTQI, il primo spazio culturale e di discussione dedicato a queste tematiche in città.

 5. “I JUST WANNA FUCK/ I JUST WANNA HAVE FUN” (cit. Anonymous)

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L’appagamento sessuale è importante. Ad Arad è altresì utopico.

Per quanto mi riguarda è sempre il solito binarismo che mi si manifesta davanti: scelta al ribasso o non scelta.

Ovvero, da una parte la possibilità di avere sexual intercorses con persone dallo spessore intellettuale infimo. E qui scatta il “principio di conservazione”. Cioè, sei talmente becer* che non puoi avere il mio corpo. Che comunque fisiologicamente non risponderebbe ai tuoi tentativi di interazione. Quindi lo conservo in attesa di tempi migliori.

Dall’altra,il desiderio ma l’impossibilità di avere sexual intercorses con persone che, ahìme, non bramano me.

Quindi è sempre un gioco a somma zero e io continuo comunque a conservare incessantemente il mio corpo che intanto sussulta: “Si, però, DAJE!”.

C’è poi un’ipotesi altra, che ogni tanto insorge. Si stanno creando le condizioni affinchè l’atto si consumi, senza pretese né aspettative. Solo, consumiamo l’atto e bòna lè.

Tuttavia, il fatto che tu sia donna e italiana a quanto pare può portare l’altra persona a pensare che tu abbia una forte componente emotional, perché questa va ovviamente a braccetto con la tua vagina.

E quindi, quest’altra persona per spirito salvifico verso di te, creatura muliebre e quindi debole, si sente in dovere di specificare: “Listen, I just wanna fuck, ok?” oppure, i più polite: “Listen, I just wanna have fun”.

Ti giuro, anche io.

Ma il fatto che questa possibilità non sia minimamente compresa dall’intelletto con cui ti stai confrontando, è spesso causa di forte calo del desiderio.

Morale della storia: ho avuto un downturn ormonale talmente strong che questo mese il ciclo mi è venuto con due settimane di anticipo.

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