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Quando il vibratore scompiglia l’ordine patriarcale

Queering Marocco: ad un mese da Stonewall

Visto che siamo in aria di Pride e meno di un mese ci separa dall’anniversario di Stonewall, penso sia giunto il momento di condividere con voi le mie riflessioni sparse sul mondo LGBT marocchino.

Se avete in mente i racconti di Paul Bowles o di Allen Ginsberg che si bevono un the alla menta con il loro toy boy nel Petit Socco di Tangeri a metà novecento, toglieteveli dalla testa. Se (e dico se) c’è stato un momento di sexual freedom in questo paese, è morto e sepolto insieme alla Beat Generation.

Con questo, chiaramente, non voglio dire che non ci siano uomini gay o donne lesbiche in Marocco, ma come suggeriva qualche anno fa il settimanale marocchino Tel Quel nel primo reportage sull’omosessualità,  il loro motto è vissero tutt@ felici e nascosti. Che forse sarebbe meglio tradurre: stettero tutti nascost@ per restare viv@.

Essere gay nel Marocco del XXI secolo è davvero una faccenda di vita o di morte, se non necessariamente fisica, sicuramente sociale. Nonostante il Marocco e il suo Re si vantino di essere il paese più laico, democratico e progressista del nord-africa, i diritti delle persone LGBT possono essere considerati la cartina tornasole della situazione reale dei diritti umani e civili in questo paese: tanta retorica ad uso e consumo di media e guide turistiche, diritti zero.

Tanto per iniziare per l’islam l’omosessualità è haram: illecita, proibita, immorale. Ed il progressista Royaume du Maroc, che prende l’islam molto sul serio, ha trasformato il versetto del corano in una legge che punisce l’omosessualità in quanto atto contro natura con la reclusione da 6 mesi a 3 anni, il tutto condito da una durissima stigmatizzazione sociale.

Nel 2007 a Ksar el Kèbir – cittadina sconosciuta del nord-ovest – la messa on line su youtube di un video di una festa privata, dove un uomo in drag fingeva di sposarsi con un altro, ha provocato delle manifestazioni di piazza da 50.000 persone che – debitamente sobillate dalla stampa conservatrice – si sono tramutate in una vera e propria caccia all’uomo e nella condanna di due uomini a 12 mesi di carcere. Il tutto con l’avvallo di alcune grandi organizzazioni per la tutela dei diritti umani. L’anno successivo, durante il Moussem di Sidi Ali Ben Hamdouch (una festa religiosa di taglio popolare) una ventina di persone sono state arrestate (e 6 condannate a 3 anni di carcere) con l’accusa di omosessualità e di spregio ai valori dell’islam perché secondo l’accusa alcune coppie di uomini avrebbero cercato di celebrare matrimoni omosessuali nel corso della festa religiosa.

Così, tanto per farvi un’idea di che aria tira…

Dove c’è repressione, però, c’è anche resistenza, quindi una comunità LGBT – seppur totalmente virtualizzata sul web – c’è e prova a farsi sentire.

Nel 2004 un attivista di Teotuan (poi emigrato in Spagna, da dove continua a gestire svariati progetti garantendosi la sopravivenza) fonda la prima associazione LGBT del paese Kif Kif (che vuol dire uguale-uguale) e qualche anno dopo insieme ad altri attivisti da vita a Mithly la prima rivista on line di cultura LGBT in darija (l’arabo marocchino) dove si possono trovare storie di vita, informazioni sulla diffusione del HIV e l’utilizzo del condom, informazioni dall’Europa e così via. A ruota nasce Lgbt Maroc un forum a registrazione obbligatoria dove chiacchierare, scambiarsi informazioni e costruire comunità e si moltiplicano le pagine di facebook.

Nel 2006 Abdellah Taia – superbo scrittore marocchino emigrato a Parigi di cui vi consiglio di leggere l’intervista su Osservatorio Iraq fatta da Jacopo Granci qualche giorno fa– è il primo marocchino a fare pubblicamente coming out scatenando l’ennesimo scandalo, ma anche aprendo uno spazio di discussione e visibilità sui pochi media non allineati del paese.

Insomma, eppur si muove :)

Come avrete notato, però, fino ad ora ho parlato solo di omosessualità maschile e non per caso purtroppo.

Le mie amiche Nazi e Lily – due coraggiosissime attiviste lesbiche di Tetouan – me l’hanno spiegato così: se sei maschio e sei gay, ti perseguitano, ma quantomeno pensano che tu possa esistere. Il fatto che una donna possa desiderare un’altra donna non è considerato possibile e quindi tu semplicemente non esisti. In più, come ben saprete, lesbiche o no, le donne in questo paese se la passano male su tutti i fronti e la sessualità femminile è un tabù in qualunque forma essa si esprima.

Anche in questo caso, però, le cose stanno lentamente cambiando. Nel 2009 nasce l’associazione Menna w’fena, la prima associazione di donne lesbiche marocchine e con lei il forum Lesbiennes du Maroc uno spazio di discussione dove si spazia dal cinema, alla salute ai diritti delle donne.

Quest’anno la rivista Tel Quel ha titolato la copertina di un numero di febbraio Lesbiennes et maroccaines dedicando un lungo reportage alla condizione delle donne lesbiche in Marocco. Sebbene nell’articolo ci siano scritte un botto di idiozie degne di un editoriale di Giuliano Ferrara, l’articolo è il segno che la strada della visibilità è iniziata.

Di sicuro, però, sarà lunga e tortuosa.

NB: Se cliccando sui link delle diverse associazioni vi compaiono uomini barbuti che pregano e versetti del Corano in stereofonia, non avete sbagliato sito, purtroppo. Lo sport preferito degli estremisti islamici è hackerare i siti dei gruppi LGBT quindi per riuscire a beccarli on line bisogna avere pazienza. Quando starete per dargliela su, pensate a quanta pazienza e quanto coraggio devono avere gli/le attivist@ qui per metterli on line e tentate ancora :)

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