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Quando il vibratore scompiglia l’ordine patriarcale

Parlare di vagina au Maroc

Qualche tempo fa sono andata ad una festa a Salè per il compleanno di un’amica. Cercando di prendere possesso di una birretta in cucina, incappo in una ragazza dall’aria simpatica. Cominciamo a chiacchierare. Mi dice che si chiama Maha, che suo padre è marocchino e sua madre è giapponese (riuscite ad immaginare schizofrenia più grande?!), che lavora in banca per guadagnare dei soldi, ma che ha una passione per il teatro e che adesso sta lavorando ad un progetto sulla sessualità femminile in Marocco. E aggiunge: la sessualità qui è la prima cosa da cui partire, se non parti da lì, niente cambierà in questo paese.

E’ amore a prima vista e, mentre lei comincia a raccontarmi del progetto, a me gira in testa una delle frasi del documento con cui, tanti anni fa, abbiamo dato vita al progetto Sexyshock: la sessualità è il grado zero della politica… una delle tre cose in cui credo dal profondo della mia pancia insieme al fatto che dio non esiste e che i pomodori crudi sono un prodotto diretto di Satana ;-)

Maha, insieme ad altre donne del Theatre Aquarium, lavora da ottobre ad una riscrittura in chiave marocchina dei monologhi della vagina di Eve Enlser. “Solo che qui – mi dice – le storie della Ensler non possono funzionare perché hanno un linguaggio e dei riferimenti culturali troppo distanti da quelli delle donne marocchine e allora abbiamo dovuto trovare le nostre storie, nella nostra lingua”.

Per farlo hanno messo in piedi il ciclo di atelier “!!!”, dei pomeriggi di “presa di parola” al femminile sulla sessualità nella sede di Aquarium ad Akkari, un quartiere iper popolare di Rabat. Immaginatevi una sessantina di donne dai 20 ai 70 anni sedute in cerchio che cercano le parole nella loro lingua madre per nominare le loro esperienze sessuali in una lingua (il darija, l’arabo marocchino) in cui non esiste nè la parola vagina nè la parola clitoride e in un paese dove per sposarsi le famiglie del marito ancora chiedono il certificato di verginità al padre della sposa per essere sicure che la ragazza “valga ancora qualcosa” e dove il matrimonio riparatore dopo uno stupro è ancora sancito dalla legge.

Gli atelier si trasformano in ore e ore di autocoscienza, di risate e di storie drammatiche, di scoperte del piacere e racconti di violenze ed umiliazioni, che scacciano il pudore e l’h’chouma – la vergogna che avvolge qualunque cosa abbia a che fare con la sessualità.

A partire da queste storie, dalle metafore utilizzate dalle donne per dare un nome al proprio corpo e alle proprie sensazioni nasce Dialy, uno spettacolo working progress che porta in scena questi racconti e sfida il darija a dare voce ciò che non può essere nominato.

Nella sala Gerard Philippe – un teatrino un po’ sgaruppato dell’istituto francese che non ho mai visto così pieno – ci sono un centinaio di donne e uomini, marocchine ed europei, e l’aria è emozionata e tesa. Prima di iniziare chiedono di non fare foto e di non registrare la voce delle attrici per tutelarne la sicurezza. Può sembrare paranoico. Non lo è. Qualche settimana fa l’attrice Latifa Ahrrare ha messo in scena uno spettacolo in cui entra in scena in costume da bagno coperta da un velo e questo ha scatenato reazioni furiose da parte del pubblico, della stampa conservatrice e dei militanti islamisti che l’accusano di aver tradito i valori dell’islam (qualche zelante militante ha pure messo in piedi una pagina su facebook che invita ad ucciderla e centinaia di fans liked it :/)

Fortunatamente in questo caso di barbuti e di polemiche dopo lo spettacolo non ce ne sono, anzi. Lo spettacolo finisce, la direttrice del teatro sale sul palco e dice che se vogliamo c’è qualche minuto per fare delle domande. Io, abituata al famoso “seguirà dibattito” che sin dal cineforum delle superiori associo a silenzi imbarazzati e voglia di fumare, faccio per alzarmi. Sono la sola. La gente non se ne va, comincia a parlare, le domande si moltiplicano, qualcuno alza la voce, qualche altra racconta la sua storia, qualche altra ancora chiede quando ricominceranno gli atelier.

Tutte le domande si chiudono alla stesso modo: grazie, per aver parlato di vagina au maroc.

 

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