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Quando il vibratore scompiglia l’ordine patriarcale

Mediattivismo femminista

I media possono “suggerire” la percezione dei territori e delle relazioni, lo abbiamo visto nella costruzione di un opinione pubblica xenofoba attorno alla questione della violenza sulle donne: stupratore=extracomunitario;
lo abbiamo visto nella solita e noiosa immagine della donna oggetto usata nel sistema pubblicitario che ha prodotto un modello stereotipato della femminilità e banalizzato il desiderio maschile.

La semplificazione è efficace, perché comprensibile, ma se si accompagna alla costruzione di stereotipi scivola nella banalizzazione riducendo la complessitá delle vite (e dei corpi) in ruoli e modelli stereotipati come forma pubblicitaria, ma anche di pratica “militante”: riconoscere e riconoscersi in uno stereotipo, che sia un modello estetico, un ruolo, un desiderio, una pratica o un’opinione, è rassicurante, precorre l’idea di un comportamento vincente, perche’ di massa e quindi “normale”.

La diffusione della pratica mediattivista e l’accessibilita’ a tecnologie mai prima d’ora “possibili” rimette tutto in discussione. Non solo nei termini di produzione e diffusione di immaginari e linguaggi, ma anche nei termini di rapporti di forza con i media mainstream.

La proliferazione di immaginari e la consivisione degli strumenti critici per leggere le “informazioni” sono una strategia efficace per contrastare la banalizzazione prodotta dallo stereotipo e dissacrare il modello/pensiero unico.

La comunicazione diventa centrale, genera processi di costruzione degli immaginari, accompagna e interpreta i cambiamenti sociali e proprio per questo dobbiamo “metterci le mani” stravolgendone gli stereotipi. Si possono esercitare pressioni sull’immaginario che produce il media meinstream e il linguaggio che utilizza, decostruirlo per aprirne un altro. E’ necessario quindi cogliere questa opportunita’ per lavorare sulla produzione mediatica della rappresentazione della soggettività femminista, del corpo e del desiderio e non a caso sono tante le forme di resistenza e di autorganizzazione che le donne hanno messo in campo attivando processi e azioni collettive attarverso l’uso creativo, condiviso e consapevole delle tecnologie, dal video al computer.

Con l’apporto delle nuove e economiche tecnologie e l’attitudine hacking anche un terreno scivoloso come quello della pornografia storicamente maschile si è modificato nella produzione e nella fruizione diventando frontiera di sperimentazione da un punto di vista di genere nella rappresentazione del corpo e della sessualità delle donne e tra donne.

Una certa reticenza nel farsi ritrarre dai media da parte del “Movimento” viene trasposta anche nel “movimento femminista” e ci si sottrae a maggior ragione se dietro l’obiettivo c’e’ un uomo.

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