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Quando il vibratore scompiglia l’ordine patriarcale

Sextoys per donne, design e comunicazione. Una lettura femminista.

Negli ultimi 20 anni il mercato dell’intrattenimento per adulti ha stravolto design e comunicazione del prodotto “sextoys”. Le palline vaginali non sono più quelle cinesi o della Gheisha, ma sono sfere per gli esercizi di Kegel.

La storia dei sex toys è longeva, svariati reperti archeologici ne testimoniano la presenza fin dall’antichità. Nel tempo l’utilizzo di questi artefatti ha avuto scopi rituali, medicali o di puro intrattenimento sessuale. Dal dildo in pietra, all’ovetto con comando remoto, la ricerca estetica ha sempre assecondato non solo la funzione d’uso, ma anche gli immaginari sessuali e i tabù culturali, espressi dalla società. Guardando al mercato occidentale la produzione di sextoys ha variato il design destreggiandosi tra una forma iperrealista con un richiamo pornografico, e una forma più asettica con un richiamo al self health.

 

Betty&Books. Sextoys potpourri

 

Dal massaggiatore venduto porta a porta, alle boutique dell’eros, il marketing applicato ai giocattoli sessuali ha cambiato spesso veste, ma è in questi ultimi anni che la comunicazione – la narrazione – women oriented ha preso il sopravvento imponendosi massivamente sul mercato. Lo sdoganamento del sextoy per donne nel dibattito pubblico è indice di un rapporto più libero e consapevole con il proprio corpo, ma non chiamiamolo femminismo.

Un sextoy è per sempre.

Dopo una fase di “stagnazione”, in cui si è replicato per anni lo stesso modello consolidato, come il noto Rabbit – divenuto famoso grazie a Sex in The City – i massaggiatori sono stati trasformati da alcuni brand di lusso in piccoli gioiellini. In alcuni modelli, se notate, l’ingombro per pile di tipo AA è stato sostituito da un piccolo spazio per la batteria ricaricabile, permettendo una maggiore libertà di progettazione.

 

Un gioiello da regalare per un’occasione importante, sigillo di una storia d’amore. Come nella pubblicità della Durex in cui un Lui regala a una Lei un anello vibrante (cock ring) durante una cena in un luogo pubblico. Uno spot ironico e innovativo perché associa l’utilizzo di un sextoy a una relazione “romantica”. Il sex toy diviene quindi nell’immaginario mainstream un oggetto per la coppia ben lontano dall’idea del fallo realistico per coppie in crisi. P.s. Durex per una politica aziendale non distribuisce i suoi prodotti nei sexshop.

Un sextoy per donne (e uomini) per bene.

Il dialogo estetico con la scena fetish, military, sado maso e medical ha lasciato spazio alla pop culture. Linee a tiratura limitata, capsule collection ideate in collaborazione con illustratori e designer di richiamo, a dimostrare che il mercato per “adulti” è al passo con i gusti arcobaleno delle e dei millenials.
L’epoca del regalare un oggetto malizioso solo per sbeffeggiare la futura sposina o l’amica single è finita e l’esibizione del vibratore come status symbol espressione della raunch culture “alla Paris Hilton” è stata sostituita da quella del “women empowerment”. L’acquisto in prima persona di un vibratore è l’affermazione di una soggettività attiva nella relazione sessuale.

Il femminismo come personal branding in voga tra blogger e social influencer ha regalato notorietà ai brand “al femminile” e l’impennata in pink di questi ultimi anni esprime la volontà delle aziende di riposizionarsi su un nuovo asset di valori.

Clio Zammatteo, truccatrice divenuta celebre attraverso il proprio canale YouTube

 

La scelta di declamare il Sextoy design come “Il sextoy per donne”, con un linguaggio “neutro” quasi asettico,  sta creando un cortocircuito. Il rischio è di tornare indietro, al punto di partenza del discorso intrapreso dai sexshop femministi fin dagli anni ‘70: la mancanza di spazi capaci di accogliere e proporre differenti immaginari sessuali. Una comunicazione che demonizza le forme falliche realistiche crea uno spartiacque fra donne per bene e donne per male. E non tiene conto delle soggettività transgender.

Un sextoy fuori dal coro.

I sexshop gestiti da donne e rivolti alle donne aprono in America negli anni ‘70, ma in Italia abbiamo dovuto attendere qualche anno in più, per la precisione il 2001. Dare un segnale di discontinuità con il format egemonico dell’oggettistica a corollario del porno non era un’impresa facile, ma questi sexshop sono comunque riusciti a proporre differenti immaginari ampliando il discorso politico sull’uso dei sextoys con workshop, seminari, presentazioni di libri e laboratori DIY.

 

Sexyshock Primo Sexyshop per donne in Italia

 


Leggi anche: Come sono nati i sexshop per donne e perché non sono tutti uguali.


Nel ’95 viene fondata Fun Factory tra le prime aziende attente alla comunicazione del prodotto, ma ci sono voluti molti più anni prima di vederla distribuita anche in Italia. Lelo (a cui siamo affiliate) apre i battenti nel 2003. Negli ultimi anni, tutte le aziende che operano sul mercato europeo investono su linee di produzione attente alla qualità dei materiali, complice le nuove direttive sulle percentuali di ftalati presenti nella composizione dei materiali da contatto.

Oggi le attività di impresa -sexshop e produttori – che hanno intercettato un rinnovato target sono quintuplicate. E si sono rinnovate.

Solo in Italia se ne contano ormai a decine, imprenditrici entusiaste hanno dato vita a imprese “al femminile” di successo. Quasi tutte le aziende hanno una linea “pink”, un colore eletto anche nella comunicazione, perché identifica immediatamente il mondo “femminile”. La scelta del colore  è portatrice di un significato intrinseco, se fino a pochi anni fa nel mondo dei sexshop il rosa strizzava l’occhio ai kinkester, ora è identificativo del “girl power”, rimane salvo il nero per eleganti feticisti.

Un pink ben diverso però da quello adottato dai movimenti queer come posizionamento critico al binarismo di genere, rosa e azzurro, e alla liturgia machista dell’attivismo politico. Nel pink dei brand women oriented non c’è ironia politica, ma marketing.

Photo: Xavier Héraud

1, 10, 100, 1000 sextoys.

Una comunicazione attenta alla rappresentazione del piacere femminile e che non oggettivizza il corpo delle donne è una grande conquista, ma solo se non silenzia il piacere e i desideri di chi non si riconosce nella rappresentazione del “femminile” di design, che è, come quella porno mainstream, altrettanto codificata.

In questi 17 anni in cui ho lavorato in un sexshop fisico e virtuale ho riflettuto a lungo sui cambiamenti legati alla promozione e comunicazione del mondo dei sextoys. Se a inizio 2000 in Italia era necessario irrompere su un territorio percepito esclusivamente maschile o per “coppie” oggi a distanza di quasi vent’anni occorre non cadere nella trappola della gabbia “al femminile” e del “love”.

Sono certa che le forme e le funzioni cambieranno ancora per andare incontro a nuove gusti estetici ed esplorazioni del piacere. Betty&Books, seppur con lentezza imprenditoriale – nota a chi ci conosce da tempo – continuerà nel suo lavoro politico di ricerca e “conoscenza situata”, perché non esiste il sextoys carino e il sextoys bruttino, ma quello più adatto al gusto e alla disponibilità economica nel momento in cui lo si desidera. L’attenzione investiamola sul materiale.

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