Betty&Books

Quando il vibratore scompiglia l’ordine patriarcale

Come sono nati i sexshop per donne e perché non sono tutti uguali.

L’acquisto di sextoys alla luce del sole è un trend che coinvolge tutta l’Europa. Nelle grandi città, da Roma a Parigi, i sexshop ormai non sono relegati nei  quartieri a luce rosse, o alla prima uscita dell’autostrada, ma scintillano nei quartieri emergenti alle prese con la gentrificazione. Varcare la soglia di un sexshop ormai non è strano o imbarazzante, ma la strada per raggiungere questo risultato è stata impervia (e molto divertente). 

Il passaggio dai sexshop percepiti come luoghi per soli uomini, ai sexshop per coppie e women friendly – da non confondere con quelli  femministi – è avvenuto gradualmente. Seppur i sexshop siano equiparati a un qualsiasi negozio di vicinato, vi sono ancora degli accorgimenti a cui un rivenditore deve sottostare.

Per chi rivende articoli pornografici e materiale vietato ai minori di 18 anni, oscurare la vetrina non è sempre una scelta stilistica. In Italia dobbiamo tener conto di una legislatura molto rigida e uno stigma sociale che ricade soprattutto su chi opera nelle piccole città. I sexshop sono spesso situati in luoghi appartati oppure strutturati come negozi automatici mordi e fuggi.

Sono molte le amministrazioni comunali che penalizzano questa tipologia di impresa. Bologna, città che segue il trend delle start-up e degli acceleratori d’impresa, propone alle associazioni locali e alle giovani imprese dei bandi per accompagnare l’avviamento di impresa, ma che squalificano le attività che “anche parzialmente vendono sextoys”, un esempio: nel bando “Progetti per l’impresa” c’è una nota di esclusione per il commercio al dettaglio (anche parziale) di “articoli per gli adulti”.


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Malgrado queste restrizioni i sexshop si sono reinventati: gli e-commerce pensati per un pubblico “femminile” finalmente si sono fatti strada e i sextoys si possono acquistare anche in negozi di lingerie.

Nei paesi a prevalenza musulmana, le coppie eterosessuali se sposate possono fare acquisti di prodotti che non violano i rigorosi precetti della religione islamica in materia di sesso, sono i cosidetti “Halal SexShop”. Il primo è stato aperto in Medio Oriente nel 2010 da una donna Khadija Ahmed. Questa tipologia di shop ha sollevato molti dubbi da parte di laici e femministe che non condividono l’idea di voler sottomettere ai principi religiosi anche la sessualità. Come dargli torto.

 

Darkhadija Shop. Bahrein

 

Negli Stati Uniti invece l’acquisto “pubblico” è prassi fin dagli esordi dei primi sexhop. Non dimentichiamo però che l’attenzione mediatica verso il cosidetto “sdoganamento dei sextoys per donne” raccoglie il frutto nato dal lavoro politico e culturale della comunità lesbica e femminista e delle lotte a favore di una sessualità libera e consapevole.

Gli anni ’70 e i  Sexshop per donne femministi.

è merito di una donna tedesca, Beate Köstlin, l’apertura del primo sexshop al mondo, mentre i sexshop per donne connessi con il movimento femminista, sorpresa, aprono in America negli anni ‘70, come Eve’s Garden fondato nel ‘74, o Good Vibration nel ‘77.

Eve’s Garden è stata la prima boutique al mondo di vendita per corrispondenza e di sessualità progettata per le esigenze uniche delle donne, il catalogo iniziale aveva tre prodotti: la bacchetta magica Hitachi – apparentemente uno strumento di massaggio – il vibratore Prelude 3 e il libro “Liberating Masturbation” della educatrice sessuale Betty Dodson. La fondatrice è Dell Williams (classe 1922) attivista per i diritti delle donne.

 

Dell Wiliams foto nytimes

 

Eve’s Garden è ancora attivo se passate da Ny inviateci una foto con tanti saluti e baci.

Eve’s Garden. Il primo sexshop per donne al mondo.

 

In Europa nel ‘92 apre a Londra “( Sh!) Women’s Erotic Emporium”, disposto su due piani, le proprietarie accolgono le clienti con una tisana fumante. Qui gli uomini entrano solo se accompagnati da donne, una scelta che hanno fatto anche altri sexshop, fatti da donne e rivolti alle donne.

 

Ingresso Women’s Erotic Emporium

 

Al contrario Good Vibration è tra principali datori di lavoro delle persone transgender e si definisce

“especially but not exclusively for women”

In Italia abbiamo dovuto attendere qualche anno in più, per la precisione il 2001 con il Sexyshock (esperienza che ha dato seguito al qui presente Betty&Books, guardate che piccole che eravamo) ma il sostegno unanime dal variegato mondo dei femminismi italiani e degli spazi autogestiti non datelo per scontato.

Il 2001 era l’anno del “Movimento del Movimenti” e di “Un altro mondo è possibile“,  il dibattito sull’autoimpresa e l’auto-reddito, dopo anni di oblìo si stava appena riaccendendo, ma se vendere libri (info-shop) come forma di finanziamento era considerato lecito e culturalmente valido, vendere vibratori era considerato puramente “commerciale”. Un sexshop era difatti percepito come provocatorio in un contesto femminista che guardava al porno e ai sextoys con sospetto. In Italia non abbiamo mai assistito a scontri giuridici come successo negli Stati Uniti con il famoso “processo alla pornografia” (MacKinnon e Dworkin) ma il dibattito politico sull’opportunità di appropriarsi di un territorio pensato per il desiderio maschile era comunque acceso. Così come il rifiuto dell’utilizzo del dildo, percepito come sostitutivo fallico e pratica penetrativa non desiderata e necessaria, la soggettivizzazione politica trans FtoM (Female to Male) era ancora in divenire.

Un altro elemento che ha concorso a questo ritardo rispetto alle colleghe europee e americane era la difficoltà soprattutto per le donne di accedere a percorsi imprenditoriali. Nel 2005 per aprire Betty&Books abbiamo sudato tre camice e sette reggiseni.

 

Sexyshock Primo Sexyshop per donne in Italia

 

Betty&Books, foto by saminablog.net

 

Oltre alla scommessa politica, i sexshop women oriented hanno affrontato il limite del catalogo prodotti. Fino alla metà degli anni 2000 nei magazzini dei grossi distributori la varietà di prodotti seppur immensa non garantiva altrettanta varietà nel packaging. Dalle confezioni spiccavano immagini di donne perfette e uomini glabri e tonici, proiezioni erotiche standardizzate, stereotipi dal porno mainstream etero e gay. Immaginatemi con un carrello della spesa enorme, simile a quello degli ipermercati, mentre mi aggiro fra scaffali categorizzati per tipologia prodotto, “gentile rivenditore, per i dildi secondo scaffale a destra, per gli stimolatori clitoridei seconda corsia, dietro al reparto video porno con donne agè”.


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Quando l’attitudine hacker incontra il femminismo nasce un vibratore.

I sexshop femministi sono comunque riusciti a proporre differenti immaginari ampliando il discorso politico sull’uso dei sextoys con workshop e laboratori DIY. Un percorso di riappropriazione e decodifica dei codici della pornografia, della sessualità e del piacere. A Bologna abbiamo ospitato il laboratorio “Bricolage Sexual” per autocostruire dildi e palline vaginali utilizzando materiali di riciclo: rotelle del mouse, stoffa, spazzolini elettrici.

 

Carla e Orit, Bricolage Sexual (BS) (2004-2010)

 

L’appropriazione delle tecnologie e la condivisione dei processi formativi sulla sessualità contro il controllo capitalista della conoscenza e del tecnologia, è una pratica femminista che richiama quello dei gruppi di self-help degli anni ’70. Con la differenza che l’ottica non è più quella essenzialista (espressione del pensiero della differenza).

Sexshop femministi e Makers creativi assieme al lavoro politico e culturale delle attiviste e degli attivisti del femminismo pro-sex, hanno difatto contribuito a ridefinire il mercato dell’intrattenimento per adulti. Progetti alieni considerati i tempi, ma che hanno il merito di avere intercettato un desiderio sommerso a volte perfino ostacolato.


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Sexshop boutique e brand al femminile.

Dopo anni di egemonia “realistica/nature” e sexshop pensati principalmente per uomini (etero o gay) a un certo punto anche in Italia tutto è cambiato, oggi si contano decine di aziende e sexshop “al femminile e di design”.

Guardando al mercato occidentale la produzione di sextoys ha variato il design destreggiandosi tra una forma iperrealista con un richiamo pornografico, e una forma più asettica con un richiamo al self health. Lelo (brand svedese di fascia alta a cui siamo affiliate) apre i battenti nel 2003 con un concetto innovativo di sextoys gioiello. Sempre nello stesso periodo Fun Factory, tra le prime aziende attente alla comunicazione del prodotto – anno 1995, inizia ad aessere distribuita anche in Italia. Ora ha i suoi punti vendita monomarca e collabora con ostetriche.

Grazie ai market place e al rinnovato interesse verso i pezzi unici, diversi artigiani iniziano a sperimentare la loro creatività nella produzione a tiratura limitata di oggetti curatissimi e dalla filiera etica.

 

Sphere (con i colori di Betty&Books!) by Silvia Picari Design.

 

Bs Atelier

 

Una comunicazione attenta alla rappresentazione del piacere femminile se da una parte è una grande conquista, dall’altra se egemonica, rischia di silenziare il piacere di chi non si riconosce nella rappresentazione del “femminile”, del “design”. Ed è per questo, che seppur super fan dei sexshop pensati per le donne devo ammettere che provo una forte simpatia verso le case di produzione e i sexshop “sesso e carnazza” che in modo integerrimo continuano a portare avanti una sorta di resistenza al pinkwashing che ha invaso gli scaffali virtuali dei sexshoponline.

Perchè alla fine dei conti, non si tratta di acquistare dei toys “carini” in uno spazio senza vetrine oscurate, non è questione di design, il sexshop dei desideri è qualcosa di più, è uno spazio informato e accogliente. Torna più che mai attuale il discorso politico intrapreso dai sexshop femministi fin dagli anni ‘70 l’auto-organizzazione come risposta alla mancanza di spazi capaci di accogliere e proporre differenti immaginari sessuali (anche quelli non di design!).

Fuori dalla nicchia! arrivano i Sexshop rosa di massa.

Oggi non occorre più girare per fiere per scovare un produttore interessante e stringere accordi proficui, ma si può strutturare il catalogo dei prodotti comodamente da casa. Le aziende di produzione inviano direttamente in sede le novità, ci sono centinaia di blogger e influencer che recensiscono i prodotti, gli scatti fotografici sono curati dagli stessi brand che hanno trasformato i loro siti B2B (Business-to-business) in e.commerce concorrenziali. Per un rivenditore i margini di guadagno si sono fatti però molto più bassi rispetto agli anni 2000, e si risente della frammentazione del mercato (distributori e rivenditori online sono veramente tanti).

Il marketing women oriented ha omologato di molto l’esperienza di acquisto, soprattutto online. Gli articoli dei blog sono molto simili fra loro, i cataloghi talmente ampi da far venire il mal di testa.

Eticamente preferisco consigliarvi, se ne avete la possibilità, di recarvi in sexshop fisici. Fa bene all’ambiente, sostiene i piccoli negozi di vicinato, e vi lascia la possibilità di toccare con mano i prodotti e chiedere informazioni a persone preparate e senza tabù.


Leggi anche: come scegliere il sextoys.


In alternativa se lo shop online è la vostra unica strada, o sapete esattamente quello che volete, Betty&Books è qui per voi, per orientarvi nell’acquisto tra i vari e-commerce e prodotti. Fidatevi.

Lo shop onlinedi betty  al momento è fermo. Lo so vi abbiamo spezzato il cuore. Ma torneremo è una promessa.

p.s.
Ho volutamente tralasciato tutto il filone dei meravigliosi negozi specializzati sulle pratiche BDSM, perché merita un discorso a parte su cui tornerò prossimamente.

Se avete domande, se volete approfondire, se volete aggiungere pezzi di storie, se volete raccontare la vostra storia, i commenti qui sotto sono aperti.

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